
Era una sera qualunque, di quelle in cui l’unico desiderio è appendere il cervello all’attaccapanni insieme al cappotto. Marco, reduce da una giornata lavorativa più lunga del suo mutuo, infilò la chiave nella toppa di casa con la delicatezza di un ladro gentiluomo.
Appena aperta la porta, venne accolto da un silenzio mistico.
Dal divano, avvolta nella sua copertina tartan come un oracolo del multitasking, sua moglie lo fissava con occhi da monaca tibetana… davanti a Netflix.
“Non mi disturbare, sto entrando in uno stato di profonda meditazione interiore,” disse lei, senza distogliere lo sguardo dallo schermo.
Marco annuì, si tolse le scarpe a rallentatore e fece per sparire in corridoio. Ma il destino – o meglio, il matrimonio – aveva altri piani.
Non aveva fatto due passi che la voce della moglie lo colpì come una freccia acustica tra le scapole:
“E dove credi di andare? Nemmeno un ‘ciao amore’? Nemmeno ti interessa sapere com’è andata la mia giornata?!”
Marco, ancora in equilibrio su una calza, si voltò lentamente come nei film d’azione al rallentatore.
“Ma… hai detto che—”
“Eh, ma pensavi che parlassi sul serio?!”
Seguì una sequenza degna di un documentario naturalistico: lui tentò una ritirata strategica verso l’uscita, lei scattò in piedi con la velocità di un felino risentito.
Cinque secondi dopo, Marco era già sul pianerottolo, rincorso da sua moglie in pantofole e con una ciabatta volante che sfiorò la sua spalla sinistra.
“TORNA QUI, che ti devo parlare di mia madre, della vicina impicciona e del gatto che secondo me mi giudica!”
Da quel giorno, Marco ha imparato che il vero silenzio zen… si trova solo in garage.